“La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni strutturate delle masse è un elemento fondamentale della società democratica. Coloro che riescono a padroneggiare questo ingranaggio invisibile della compagine sociale costituiscono un governo occulto, il vero potere che dirige il paese.
Noi siamo in gran parte governati, le nostre menti sono plasmate, i gusti vengono creati, le idee sono in gran parte suggerite da persone mai viste e sentite. È la logica conseguenza del modo in cui è organizzata la nostra società democratica, dove una quantità sterminata di esseri umani è costretta a cooperare per poter convivere come organismo sociale che funziona senza intoppi.” (Propaganda di Erward L. Bernays)
Sono passati tre giorni, sono qui a mangiare una fetta di torta senza zucchero e con molte mele, ho ancora nella testa la melodia di On the nature of the Daylight e una delle foto scattate in Siria da Giorgio Bianchi, in cui ritrae un barbiere anziano mentre scorcia i capelli a un bambino, nella mano sinistra un pettine nero e nella destra la macchinetta manuale con cui taglia. Si vede la bottega mesta, ci sono sedie spaiate vuote, per eventuali i clienti, una scopa consunta in un angolo, ciocche di capelli a terra, si presume del piccolo cliente, seduto sulla poltrona da lavoro scrostata dal tempo, dalla guerra, dall’uso, così come i due specchi alle pareti in cui si riflettono i protagonisti. Quell’ambiente mi ha riportato alla Catania degli anni ’70 e il barbiere e il ragazzino, si sono sovrapposti al ricordo di me e mio padre quando mi tagliava i capelli. Ho guardato i siriani ritratti nelle foto, erano come me, come noi e quei luoghi belli, ora distrutti, ricordavano paesi meridionali, avevano la stessa luce.

Se dalla mia comoda vita penso alla guerra, mi vedo terrorizzato, non con quell’espressione di rassegnazione dignitosa che hanno in quello scatto il vecchio e il giovane, cresciuto tra la guerra, come se fosse normale.
Sabato sono stato tra i partecipanti alla lezione tenuta da Giorgio Bianchi, documentarista, fotoreporter e giornalista di guerra, mi ha ricordato la versione corrucciata del Salvator Mundi di Leonardo. Nelle due ore ci ha coinvolto e spiazzato con la forza delle parole e delle immagini che si susseguivano sullo schermo del muro. Erano immagini belle e strazianti, recenti, anche se a un’occhiata distratta, potevano sembrare storicamente antiche, a giudicare dagli abiti e dagli edifici distrutti. Ha mostrato e raccontato oltre che del conflitto siriano anche di ciò che succede in Ucraina raccontando fatti che le informazioni ufficiali non dicono. È stato tra gli scontri a Kiev nel 2014, a Donbass tra il 2015 e il 2020, guerre che in molti abbiamo letto, ma le abbiamo percepite come avvenimenti lontani, mentre invece sono molto vicini.
Giorgio Bianchi parlava con quel trasporto emotivo di chi non può dimenticare ciò che ha visto. Via via mi si è formato un groppo che è ancora vivo adesso, mentre scrivo. Ci ha detto: “Chi la guerra l’ha vissuta veramente, non la racconta, se la lascia alle spalle, un po’ come hanno fatto i nostri nonni. Solo chi ha vissuto quell’orrore in prima persona può capirlo e in quel caso basta un incrocio di sguardi per intendersi.”
Ci ha fatto riflettere che la foto così come l’informazione è un frame di una visione più ampia che il fotografo o il giornalista decide di mostrare. La restante parte non la racconta perché non gli piace, non la ritiene importante o perché non dev’essere mostrata. In un’informazione libera però dovrebbe esserci il controcanto, ma in realtà nella situazione che stiamo vivendo, nonostante un’apparente pluralità di erogatori d’informazione, tutti si uniformano ad un’unica voce che alla fine plasma il pensiero della massa. La minoranza che ha voglia di conoscere la controparte deve informarsi su altri canali al di fuori di quelli ufficiali.
“La manipolazione cosciente, intelligente delle opinioni e delle abitudini organizzate delle masse gioca un ruolo importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo impercettibile meccanismo sociale formano un governo invisibile che dirige veramente il Paese.” (Propaganda di Erward L. Bernays)
Oggi la propaganda passa per il cellulare, visto che siamo geo localizzati e profilati, è possibile che ad ognuno venga assegnato un influencer adatto a convincerci che l’unica verità è solo quella della corrente principale. Grazie a come hanno deciso di gestire la pandemia, ci hanno abituato a parole come lasciapassare, coprifuoco, zone rosse che fanno parte di uno specifico linguaggio in modo da poterci traghettare, con poco sforzo, a una militarizzazione della società e riportare l’ordine gestito da una élite.
Ho bisogno di un caffè, mi sento annientato. Nella testa ancora le note di Max Richter, qualche fotogramma e Bianchi che con inflessione laziale dice: “Bisogna decidere se essere un animale da fattoria dove ti danno da mangiare, un posto in cui dormire, una protezione, ma decidono per te ogni cosa, oppure essere un lupo selvatico che tira avanti tra continue difficoltà, nell’incertezza di trovare del cibo e con la paura di essere braccato.”
E io dove decido di stare?
Bevo il caffè e guardo la torta, ricorda una bocca sbigottita.
