Nella libreria ho rinvenuto il vocabolario di tedesco, non so perché lo conservo ancora. È un tuffo nel passato e nei venti chili in più dell’adolescenza. Dei cinque anni passati all’istituto tecnico commerciale ho ricordi lontani, nomi, a volte non legati al volto a cui appartenevano. Mi appare la bocca larga di Mariangela che quando rideva mostrava tutti i denti, poi Anna, soprannominata Madame de Pompadour per i suoi modi antiquati. Di lei si era invaghito il professore d’italiano non perdeva occasione per richiamare la sua attenzione. Erano gli anni ’80, il secolo scorso. Metto l’acqua per la pasta, faccio partire Nobody’s Diary. Risento l’odore di Campus, lo shampoo alle mele verdi. Frammenti di professori, i loro gesti ripetitivi: quella di diritto che prima di spiegare si fregava i palmi delle mani su viso come per risvegliarsi, la prof. di chimica con i capelli in bianco e nero dai riflessi blu che dava sempre del lei. La leggenda del perfido professore di matematica, detto gamba di legno: si vociferava avesse perso in guerra l’arto inferiore e un occhio, quello di tecnica che in piedi, davanti alla cattedra continuava a toccarsi le mutande dai pantaloni. E poi c’era lei: la puzzola.
Affetto il cavolo viola e Don’t go riecheggia.
La puzzola era la supplente di ragioneria una piccola finta bionda dalle zeppe importanti che amava i maglioni bicolori (spesso rosso e grigio) dalla manica a pipistrello. Appena varcava la porta, l’aria dell’aula, già viziata dai nostri effluvi giovanili, si saturava della secrezione acida diffusa in modo copioso dalle sue ghiandole sudoripare. Con le cugine De Marco ci chiedevamo se puzzasse più la parte rossa o quella grigia del maglione. A fine ora la campanella ci risvegliava dall’asfissia causata dalla materia e dall’odore di chi la spiegava. Dopo di lei, il mercoledì, toccava alla professoressa di geografia, donna sensibile agli odori, che prima di entrare faceva spalancare per cinque minuti la finestra. Non credeva che la sua collega appestasse l’aria, ma dopo la prima riunione tra insegnanti ci disse – Avevate ragione!
Metto la mela a pezzetti e dei fagioli corona nell’insalata. L’acqua bolle, butto il sale e poi la pasta
Let me go mi accompagna mentre aggiungo olive e capperi, origano, sale e qualche goccia di aceto balsamico.
Open Your Heart e ricordo colei che da generazioni, studenti vessati dall’osticità della materia, chiamavano bulldog.
La faccia ricordava il cane inglese: prognatismo, guance cadenti, doppio mento, incarnato chiaro e caschetto biondo cenere.
Spiegava con passione, ma se pronunciavamo male, si avventava sul malcapitato e abbaiava – Fogel, Fogel, no Vogel com’è scritto; non capisci niente!
L’interrogato abbassava lo sguardo e avvampava, gli altri sghignazzavano.
Qualcuno sussurrava – Ora lo mozzica!
Il nostro era stato l’ultimo anno d’insegnamento prima della pensione.
La sostituta spiegava male e si assentava spesso per esaurimento.
Mesi dopo, trapelò la notizia: la professoressa di tedesco era morta per una malattia.
Ci dispiacque. Ci sentimmo perfidi.
La pasta è cotta: scolo e condisco. Don’t you want me.
Prima però è il turno dell’insalata.

È veramente cosa buona e giusta iniziare ogni pasto con le deliziose insalate di Giuseppe.
Le adoro.
Grazie Giuseppe, per l’attenzione e la cura con cui prepari i pasti gentili.
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